Il 29 novembre (2021) ho avuto l’onore e il piacere di condurre il talkshow all’interno dell’evento “Global Inclusion”. Al centro della giornata finale di tre mesi di convegni, webinar e seminari, il terzo settore si confrontava per rispondere al tema: “Innovazione e inclusione: un nuovo modello di leadership per la ripresa”.
Riflettendo sul tema avevo cercato, nel futuro prossimo, la chiave per favorire un ecosistema più inclusivo. Ma era come se la vista fosse ostruita dalla degenerazione che continua a montare da alcuni anni. Per esempio, Internet, che doveva renderci la vita più facile e piacevole, sta diventando una fabbrica di odio e fake news, i femminicidi e le morti sul lavoro rischiano di non essere più una notizia, mentre diventano notizie i licenziamenti via posta elettronica o, alla meglio, via zoom. La solidarietà è stata dimenticata o è stata accantonata abilmente. Una donna, un lavoratore, un immigrato sembrano non avere diritto alla dignità.
Ci stiamo giocando l’umanità. Forse.
L’umanità, quel “poderoso combinato di solidarietà, compassione, comprensione, amore, perdono, cura, gentilezza, tanto grande da avere contorni nebulosi, ma tanto chiaro da non recare in sé la più microscopica traccia di male”, sembra essere in rimasta confinata, nei libri di scuola, nella storia, nel passato.
Recuperare l’umanità. Questa è l’innovazione. Per favorire l’inclusione, l’innovazione va cercata nel passato. Ed è proprio dell’umanità che abbiamo discusso con i miei ospiti, Cristina Mussinelli della Fondazione LIA, Rosy Russo dell’Associazione Parole o-stili, Igor Suran dell’Associazione Parks liberi e uguali, e Aurelio Luglio e Bassirou Zigani del Progetto Cartiera.
I commenti al termine del nostro confronto sono stati la cartina di tornasole che ha sancito che l’umanità non è ancora perduta. Come a Seattle dove Dan Price, imprenditore, si è ridotto lo stipendio da 1.000.000 a 70.000 dollari all’anno per consentire ai suoi dipendenti di godere di uno stipendio minimo di 70.000 $. Ma questa è un’altra storia.
