Pubblicato nel mese di Ottobre 2014 su “iN Magazine”

(Dopo le immagini puoi leggere la trascrizione dell’articolo)



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Gestire la propria organizzazione in modo sostenibile, dialogando con i portatori di interesse, clienti, dipendenti, fornitori e territorio è la modalità più efficace per definire la strategia per competere con successo nel lungo periodo. Le aziende che affrontano il futuro “insieme” alle forze con le quali sono interconnesse sono in continua crescita. Eppure le reazioni di imprenditori e manager sono contrastanti quando si trovano ad affrontare lo snodo della sostenibilità. Da un lato ostentano consapevolezza. Sono sempre più convinti che sia una ineludibile strada da percorrere. Convinzione che si fonda sulla constatazione che i consumatori e i territori sono sempre più attenti all’impatto ambientale dei prodotti che scelgono e delle imprese che li producono, che le normative in campo ambientale e sociale diventano sempre più stringenti e che i loro concorrenti sostenibili competono con maggiore incisività. Dall’altro lato non nascondono una dose di incertezza. Nutrono, infatti, non poche perplessità che la gestione sostenibile crei, in ultima istanza, più valore di quanto ne crei la gestione “convenzionale”.

Se da un lato un’avanguardia di imprese ha cominciato ad affrontare il tema dell’incertezza della creazione del valore, dall’altro lo scetticismo prevale quando si tratta di decidere di impiegare le pratiche di gestione sostenibile più intangibili come lo Stakeholder engagement. Dove per Stakeholder engagement intendiamo lo stile di gestione fondato sul dialogo aperto con i portatori di interesse e il loro coinvolgimento nella gestione dell’azienda finalizzato a creare valore a lungo termine. Stile di gestione, costituito da pratiche e azioni tangibili come ricerche, sondaggi, panel, focus group e che si basa sui valori della responsabilità reciproca, del dialogo, della condivisione delle informazioni, dell’impegno costante a cogliere le opportunità e risolvere i problemi partecipativamente.

Non è facile. Convincere un’azienda a “impegnarsi a far proprio il principio dell’inclusività, il che significa riconoscere agli Stakeholder il diritto di essere ascoltati e accettare di rendicontare della propria attività e delle proprie scelte” (definizione di Stakeholder engagement, AA 1000 SES, 2005) è un’operazione piuttosto complessa. Convincerla a identificare le priorità e le aspettative degli Stakeholder e a tenerne conto “con buon senso” (cioè adottando lo Stakeholder engagement come stile di gestione gradualmente per consentire all’organizzazione di apprendere e farne propria la cultura) risulta ancora più difficile per l’incertezza dei risultati confrontati con i costi operativi di attuazione. Ed è il profilo intangibile dell’approccio uno dei principali fattori inibitori verso la sua adozione. Nelle aziende italiane, pragmatiche e riservate, il dialogo con i portatori di interesse e il loro coinvolgimento nella gestione, seppur opportunamente modulato, incontra inevitabili resistenze.

Occorre fare chiarezza su alcuni aspetti: il contributo degli Stakeholder, l’utilità del loro engagement e il concetto di valore. Un’azienda è un sistema più o meno aperto al centro di un sistema di relazioni con gli Stakeholder che ne influenzano l’attività. Contribuiscono alla sua vita e ne condizionano le prestazioni. Ciò accade sia che gli Stakeholder siano un “fattore produttivo” come i dipendenti, conferenti capitali come gli azionisti, conferenti risorse produttive come i fornitori, conferenti risorse economiche come i clienti, oppure, avendo una relazione indiretta con l’impresa, come una comunità territoriale o le istituzioni. È evidente che organizzare i processi coinvolgendo “con buon senso” gli Stakeholder, tenendo conto anche delle loro priorità e aspettative, consente all’impresa di generare maggiore efficienza e valore. Concetto di valore declinato in varie forme quali legittimità, reputazione, fiducia e produttività economica e profitto. Il “valore condiviso”, di cui abbiamo già scritto, è quello più innovativo. È il risultato di “politiche e pratiche operative che rafforzano la competitività di un’azienda e contemporaneamente sviluppano le condizioni economiche e sociali nelle comunità nelle quali opera. La creazione di valore condiviso si concentra nell’identificare e sviluppare le correlazioni tra progresso sociale e il progresso economico”. (Porter-Kramer)

Perché un’organizzazione adotti la sostenibilità come modello di gestione e dialoghi con i propri portatori di interesse bisogna che l’approccio sia reso concreto mettendo la sostenibilità e lo Stakeholder engagement in relazione con l’efficienza e il valore. Identificare e misurare oggettivamente le aspettative e le priorità degli Stakeholder e la loro percezione della capacità dell’impresa di rispondere ad esse è sia la precondizione per rendere tangibile lo Stakeholder engagement sia la piattaforma per definire una strategia di gestione sostenibile.

“Social Responsibility Reputation” (SRR) è una risposta. SRR è il modello che misura la percezione della sostenibilità di un’organizzazione e lo strumento di Stakeholder engagement e di pianificazione strategica. SRR fornisce risposte oggettive a proposito delle aspettative degli Stakeholder e la loro valutazione della capacità dell’organizzazione di rispondere, la qualità della relazione tra l’azienda e portatori di interesse e la correlazione con il valore economico. Il modello è alimentato dalle opinioni degli Stakeholder rilevate in modo rigoroso attraverso un questionario e a ogni valutazione numerica circa il comportamento sostenibile dell’azienda corrisponde una motivazione .

Sostenibilità e dialogo assumono così un profilo concreto. Il set di indicatori SRR che li rappresentano sono correlabili agli indicatori operativi ed economici dell’azienda. E consentono di misurare il loro impatto sul valore. Ciò che era intangibile diventa concreto e misurabile. E ciò che è misurabile è migliorabile. Come la qualità di vita di un territorio.