Pubblicato nel mese di Aprile 2014 su “iN Magazine”

(Dopo le immagini puoi leggere la trascrizione dell’articolo)

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“Solo quando l’ultimo fiume sarà prosciugato, quando l’ultimo albero sarà abbattuto, quando l’ultimo animale sarà ucciso, solo allora capirete che il denaro non si mangia”. (Capo Toro Seduto dei Sioux Lakota).

“Improvvisamente ho capito che voi non siete dei veri mammiferi: tutti i mammiferi di questo pianeta d’istinto sviluppano un naturale equilibrio con l’ambiente circostante, cosa che voi umani non fate. Vi insediate in una zona e vi moltiplicate, vi moltiplicate finché ogni risorsa naturale non si esaurisce. E l’unico modo in cui sapete sopravvivere è quello di spostarvi in un’altra zona ricca. C’è un altro organismo su questo pianeta che adotta lo stesso comportamento, e sai qual è? Il virus. Gli esseri umani sono un’infezione estesa, un cancro per questo pianeta: siete una piaga. E noi siamo la cura”. (Mr. Smith a Morpheus nel film “Matrix”).

Si può essere più o meno d’accordo: il modello dell’impresa capitalistica è in crisi e il suo ciclo di vita si sta avvicinando alla fase finale. La citazione di Mr. Smith, dove la metafora del comportamento umano diventa la metafora del comportamento delle imprese, e quella di capo Toro Seduto raccontano quanto l’idea che le aziende prosperino a spese del territorio e della collettività sia nata in tempi lontani. E si sia consolidata nella cultura collettiva. Contestualmente alla crisi del modello economico di impresa si è messo in discussione il tipo di sistema di azienda. La visione dell’impresa “sistema chiuso” impermeabile ai portatori di interesse e slegato dal territorio sta diventando sempre più anacronistica. Intrappolate in una visione di breve periodo creano valore esclusivamente attraverso l’ottimizzazione della performance finanziaria (di breve periodo). Un orizzonte che le rende miopi. Agendo sulla base delle modalità con cui vengono misurate le loro prestazioni, perdono di vista il benessere dei clienti, le conseguenze dello sfruttamento delle risorse e l’impoverimento delle comunità.

Sono le conseguenze dell’incapacità di accettare la realtà di un fatto: che l’impresa continua oltre il portone e il muro di cinta. L’impresa, senza il territorio, nel lungo periodo inaridisce e muore. Per prosperare deve mettere radici in terra fertile. E arricchirla mentre si sviluppa. Oppure spostarsi in una località più ricca e, come spiega Mr. Smith, consumarla.

La realtà è ineludibile. L’impresa è un “sistema aperto”, in costante relazione con il territorio di cui gli Stakeholder sono la componente più ricca e vitale. Una relazione basata sul continuo e reciproco scambio di risorse che garantisce l’esistenza dell’impresa. La stato del territorio e della comunità è quindi, e senza dubbio, un fattore critico di successo. Un territorio in buona salute è un mercato per i prodotti dell’impresa e fonte di “approvvigionamento” di risorse critiche come, per esempio, personale qualificato. In questo contesto l’impresa può essere considerata il centro propulsivo del proprio territorio. Centralità che la legittima ad accedere, con buon senso, alle risorse. Senza depauperarlo, ma arricchendolo creando valore condiviso. La creazione di valore condiviso è l’idea di Michael Porter, professore della Harvard Business School e direttore dell’Istituto per la strategia e la competitività, e Mark Kramer. Creare valore condiviso significa mettere in atto “politiche e pratiche operative che rafforzano la competitività di un’azienda e contemporaneamente sviluppano le condizioni economiche e sociali nelle comunità nelle quali opera. La creazione di valore condiviso si concentra nell’identificare e sviluppare le correlazioni tra progresso sociale e il progresso economico”.(Porter-Kramer, 2011).

L’ottica della creazione valore condiviso è frutto della constatazione che la competitività dell’impresa e il benessere del territorio-comunità  sono strettamente legate. E costruire e consolidare una relazione virtuosa con il territorio-comunità, che generi vantaggi reciproci, è un obiettivo strategico di ogni impresa (Porter-Kramer, 2011).

“Condiviso” è indubbiamente la parola chiave. Che riconosce che l’impresa è un “sistema aperto” e che invita il management a proiettare lo sguardo oltre il “portone”. Che mette in evidenza che gli obiettivi devono essere comuni. Che suggerisce che la gestione deve essere partecipativa, aperta con buon senso al contributo del territorio-comunità.

Creare valore condiviso è una priorità per la provincia di Siracusa. I dati economici del 2013 sono espliciti e testimoniano un profondo squilibrio. Le imprese che hanno chiuso sono circa 1600 e circa 7500 i posti di lavoro persi. 1000 dei quali nel settore petrolchimico che genera il 51% del Pil provinciale, cresciuto dello 0,1% . La convergenza tra zona industriale e territorio su obiettivi di sviluppo condivisi può essere la chiave per liberare le energie della provincia e creare valore condiviso. E il mezzo è la gestione partecipativa. Di cui Siracusa è già stata testimone nel 2010 quando il gestore del servizio idrico ha scelto di guardare oltre gli impianti in modo strutturato. È stato in quel periodo di pochi mesi che, coinvolgendo il territorio nella gestione delle criticità è stata trovata la soluzione al problema fognario della zona residenziale del Plemmirio ed è stata portata a termine la prima fase dell’adeguamento del depuratore di Calabernardo (Noto).

L’operazione di Calabernardo è paradigmatica. Confrontandosi con il territorio, in particolare con il circolo locale di Legambiente, il gestore ha completato in tre settimane un intervento previsto in un mese e mezzo. Un’operazione che ha creato valore condiviso grazie alla definizione di obiettivi comuni, al coinvolgimento del territorio e al dialogo trasparente.

Adriano Olivetti diceva che “La fabbrica non può guardare solo all’indice dei profitti. Deve distribuire ricchezza, cultura, servizi, democrazia. Io penso la fabbrica per l’uomo, non l’uomo per la fabbrica”.