Pubblicato in “iN”, la rivista di Siracusa

 

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È accaduto a Bari nel dicembre 2011, mentre assistevo al convegno che precedeva l’apertura del 9º Congresso Nazionale di Legambiente al quale partecipavo come delegato nazionale. Il tema,”La bellezza ci salverà”, aveva lo scopo di ispirare. Nel pieno della più grave delle crisi economiche il messaggio di speranza che Legambiente lanciava all’Italia era di recuperare la bellezza come valore identitario. La bellezza che in Italia è un patrimonio che non ha uguali. La bellezza paesaggistica e ambientale unica che ha ispirato uomini a realizzare capolavori artistici, architettonici e letterari accumulando bellezza ad altra bellezza creando una ricchezza unica che tutto il mondo ci riconosce. E ci invidia. Questo è l’ambiente che ha ispirato artigiani e imprenditori a creare prodotti unici per bellezza e qualità. Le auto più belle, le griffe più desiderate, il design più ricercato, i prodotti enogastronomici dai sapori unici e tanto altro ancora non potevano che nascere “all’ombra dei campanili”, i testimoni della capacità della bellezza di diventare il valore di un popolo e di ispirarlo. Bellezza che è, se la si riconosce e la si protegge, la piattaforma per immaginare il nostro futuro. E crearlo.

È stato a quel convegno che ho cominciato a pensare alla bellezza come possibile fonte di ispirazione di manager e imprenditori per gestire le aziende in modo virtuoso. La bellezza è “armonia e perfezione formale. Bontà, nobiltà, generosità” (Sabattini Coletti). La gestione dell’impresa, alla luce della definizione, può dunque ispirarsi ad essa?

L’industria ci racconta episodi sorprendenti che fanno pensare che un’organizzazione può essere progettata per essere “bella”. Nel 1908, oltre 100 anni fa, Winston Churchill, allora ministro del commercio, presentava un disegno di legge che abbassava a otto ore l’orario di lavoro dei minatori. Spiegava che “la democrazia industriale non tende a un orario di lavoro inadeguato ma a un numero insufficiente di ore di tempo libero … il tempo di vivere, coltivare il giardino, leggere…”. Alcuni anni dopo Adriano Olivetti dichiarava che “in fabbrica si tengono continuamente concerti, incontri, dibattiti. Alla Olivetti lavorano artisti, scrittori, intellettuali, alcuni con ruoli di vertice. Qui la cultura ha molto valore”. Forse l’intento era esplicito. Coltivare lo spirito dei lavoratori. Sensibilizzare i loro animi perché cogliessero prontamente la bellezza in tutte le sue sfumature e la trasferissero all’azienda. Nei suoi prodotti e nei suoi processi organizzativi.

Parlare della vocazione dell’Italia per la bellezza citando gli esempi di Ferrari, Valentino, Versace, Alessi, è piuttosto facile. A farlo si rischia però di scoraggiare la miriade di piccole e medie imprese del settore manifatturiero, una delle architravi scricchiolanti del paese. Settore dove è impossibile o quasi declinare la bellezza nel  prodotto. Invece, se si va oltre l’estetica e si accoglie la bellezza nella sua accezione più ampia, anche una macchina può avere la sua bellezza intrinseca. Come la TopStar 3400 di GEMATA, una società di Vicenza che produce macchine per la concia delle pelli, uno dei settori a maggiore tasso inquinante. Per “conciare” le pelli si impiegano acidi altamente corrosivi difficili da smaltire. La TopStar 3400, che decora le pelli impiegate nell’arredamento e nella selleria delle auto, è rivoluzionaria. La tecnologia innovativa pensata dagli ingegneri di GEMATA ha permesso di realizzare una macchina che, rispetto alla versione precedente e alla concorrenza, ha migliorato la qualità della decorazione riducendo del 60% l’utilizzo di inchiostri, dell’80% il consumo di energia elettrica e del 75% il consumo di acqua. La macchina ha conquistato il mercato, di fatto contribuendo a diminuire l’impatto ambientale di tutta la filiera. La TopStar 3400 trascende l’estetica e la sua “bellezza” è pari a quella di una Ferrari o di un abito di alta moda perché protegge la bellezza dell’ambiente e del territorio. Un particolare. L’amministratore delegato ogni anno si immerge nella bellezza della savana africana dalla quale torna con fotografie suggestive che diventano libri meravigliosi. Non può essere un caso che la macchina sia realizzata nella sua azienda.

Bontà, nobiltà e generosità, i valori della bellezza, ricordano le virtù della filosofia morale che Adam Smith, il “fondatore” del liberismo classico e del capitalismo, aveva sviluppato nella “Teoria dei sentimenti morali” (1759): la bontà o benevolenza, il fondamento di ogni giudizio morale, la saggezza, la guida delle decisioni derivanti dall’interesse individuale e la giustizia per compensare le decisioni fondate sull’interesse economico. Una coincidenza sorprendente. Bellezza e liberismo condividono i valori: dimenticati in entrambi i casi. Verrebbe da dire che la bellezza era già parte del pensiero che avrebbe portato alla nascita della moderna impresa.

La generosità è il valore più dirompente. In Italia, non proteggere la bellezza è come suicidarsi. Rispettare l’ambiente, valorizzare i dipendenti e il territorio, salvare un monumento, ristrutturare una scuola sono troppo spesso considerate azioni rivoluzionarie. Dal punto di vista della generosità hanno una coerenza logica. Quasi ovvia. Ma generosità significa anche non relegare le azioni nei recinti delle aziende. Vuol dire “far sapere” all’esterno le cose “belle” che l’impresa ha fatto. Per dimostrare che c’è un ritorno in valore reputazionale e stimolare lo spirito di emulazione.

L’empatia con l’ambiente esterno rende l’azienda bella. Bella è l’azienda aperta, che ascolta i portatori di interesse e li coinvolge nella gestione. Come Olivetti e Churchill che per scrivere la legge sulla diminuzione dell’orario di lavoro dei minatori era andato a parlare con loro. Proprio come fanno le aziende sostenibili: coinvolgere i portatori di interesse per creare un’organizzazione la più perfetta possibile che generi armonia tra dimensione ambientale, sociale ed economica.

Occorre assicurarsi che le imprese della provincia di Siracusa riconoscano la sua bellezza e i valori che condividono. Scopriranno che sono alla base della loro esistenza.